I dubbi dei genitori sulla crescita dei propri figli sono, da sempre, numerosissimi. Il libro Come crescere mio figlio (pagg. 336, prezzo euro 19,90, edizioni LSWR) prepara mamme e papà al difficile compito di genitori: in particolare, da prima ancora che lo diventino fino ai 6 anni di vita dei figli. Abbiamo chiesto quattro consigli su diverse problematiche al suo autore, il dott. Alberto Ferrando, specialista in Clinica Pediatrica e Professore a Contratto in Pediatria ambulatoriale al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Genova.
Dottor Ferrando, quali sono gli errori più comuni commessi dai genitori nella crescita dei loro figli e come possono essere evitati?
«Non parlerei di errori, ma di mancanza di conoscenza delle situazioni. La conoscenza è la miglior medicina. I genitori tendono a dare importanza soprattutto ad alcuni aspetti, come l’alimentazione nel primo anno di vita. Temono febbre e malattie varie, mentre purtroppo altri aspetti più critici vengono sottovalutati. La colpa di tutto questo è anche degli operatori sanitari. Per questo, ho sentito l’esigenza di trattare, nel mio libro, anche la prevenzione degli incidenti; tenuto conto che la prima causa di mortalità e di ricovero nelle persone da 1 a 44 anni sono, appunto, questi ultimi e non le malattie. E di questi, gli “incidenti da traffico” e l’annegamento costituiscono la prima causa di morte da 1 a 4 anni. C’è ancora poca consapevolezza e conoscenza della pericolosità del soffocamento da corpi estranei. I genitori possono prevenire questo problema offrendo ai figli un’alimentazione adeguata all’età; ma quante morti – o danni irreversibili – si eviterebbero effettuando una manovra semplicissima che spesso è sconosciuta. I nostri bambini trascorrono troppe ore a scuola perché gli operatori scolastici non siano istruiti in merito. In più, negli ultimi anni la società si è profondamente modificata e i bambini vengono allevati con grandi sensi di colpa da parte dei genitori. Questi ultimi dovrebbero abituarsi a dire dei NO ai propri bambini, per abituarli alla vita reale. I figli hanno bisogno di poche cose: affetto, compagnia e qualche “no” in più.».
Febbri improvvise, pianti disperati di chi non può ancora esprimersi a parole. Come si può distinguere un’emergenza da una problematica di routine?
«Pur con qualche eccezioni, l’istinto materno non sbaglia. È infatti la mamma che, più di ogni altra persona, conosce il figlio; avendo instaurato con lui un rapporto prima ancora di farlo nascere. Un buon pediatra dovrebbe promuovere la cultura dell’IO MATERNO. Eppure – in Italia e forse anche oltre – si tende a colpevolizzare la mamma e, in generale, la famiglia. È invece fondamentale che la crescita di un figlio venga affrontata il più serenamente possibile, con una preparazione adeguata, di cui spiego nel mio libro. Spesso, l’affannosa ricerca di informazioni – soprattutto sulla rete – crea confusione e insicurezza. Premesso questo, sono i comportamenti inusuali del figlio che devono allertare i genitori. Le malattie, infatti, non si manifestano sempre con la febbre. Occorre quindi porre attenzione, indipendentemente dalla piressia, a svariati aspetti: un cambio repentino del comportamento o del ritmo sonno-veglia; una respirazione differente; uno sguardo spento o supplichevole. In questo, la famiglia va aiutata a rinforzare le proprie responsabilità e a crescere. La nostra società è invece molto deresponsabilizzante e spesso chiama il 118 inutilmente: ma in caso di soffocamento, di shock anafilattico o di arresto cardiaco, spesso si interviene troppo tardi. Per queste tipologie specifiche, non si può delegare soltanto l’apparato medico: è la famiglia che, per prima, deve intervenire.».
In che modo devono essere preparati i bambini ai cambiamenti sostanziali in famiglia, come l’arrivo di un fratellino o di una sorellina, un lutto o una separazione?
«Dicendo loro la verità, bella o brutta che sia. Per non vedere soffrire i figli, spesso i genitori adottano strategie sbagliate: per esempio, ritardano la comunicazione di un lutto giustificando, per esempio, l’assenza della persona per una lunga vacanza. Ma se il bambino viene a conoscenza della verità da altre persone perderà per sempre la fiducia nel genitore. Stiamo purtroppo vivendo in una società – fondata più sull’estetica che sull’etica – in cui gli aspetti fondamentali vengono sottovalutati. Ogni distacco (dal latte materno tramite lo svezzamento, dal nido domestico in età scolare, ecc.) comporta un dolore che però aiuta a crescere. I pediatri possono consigliare i genitori su come spiegare ai bambini determinati eventi drammatici. Possono farlo stabilendo, per esempio, una relazione umana con mamma e papà; i soli interlocutori, almeno nei primi 5 anni di vita del bambino, che fungono da tramite tra i medici e i figli.».
Quanto lo stile di vita dei genitori, soprattutto quello della madre, incide sullo sviluppo del bambino, e ancora prima del feto?
«Come ho specificato nella parte iniziale del mio libro, fumo, alcool e droghe possono incidere marcatamente perfino sul feto. Consigliando i futuri genitori, propongo loro una frase di Papa Giovanni Paolo II: “Riappropriati della tua vita e fanne un capolavoro”. Programmare l’arrivo di un figlio è anche un momento di analisi dell’esistenza dei genitori fino a quel momento. È quindi un’occasione per migliorare lo stile di vita: poiché sarà il medesimo adottato dal figlio. Non soltanto riguardo al comportamento e all’aggressività, ma anche in tema di alimentazione. Dopo il primo anno di vita, contrassegnato da grande attenzione dei genitori verso i cibi da somministrare, nella fascia di età 2-4 anni, spesso si consumano già alimenti nutrizionalmente non equilibrati. Non bisogna dimenticare che nel primo anno e mezzo di vita, nel rispetto dello svezzamento, il bambino dovrebbe essere abituato a mangiare di tutto. Successivamente, infatti, il piccolo sviluppa la “neo-fobia”, rifiutando i cibi che non sono di suo gradimento. In questo, devono essere i genitori a dare il buon esempio: suggerisco loro, fra l’altro, almeno nel fine settimana, di tornare a essere una famiglia tradizionale: seduti tutti insieme a tavola, con i cellulari spenti.».
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