Frequentazioni per secondi fini, origini rinnegate, arrivismo, ma anche ritorno agli affetti familiari in “Un boss in salotto”: agrodolce il sapore del nuovo film-commedia di Luca Miniero
L’1 gennaio è uscito nelle sale cinematografiche Un boss in salotto di Luca Miniero. Il successo della pellicola è stato decretato fin da subito: nei primi cinque giorni dall’uscita ha incassato quasi 5 milioni e mezzo di euro; di cui più di 1 milione nella sola giornata di sabato 4 gennaio.
A questo trionfo concorre, da un lato, un cast vincente che assicura momenti di pura comicità; dall’altro, il finale con una morale su cui riflettere. Rocco Papaleo supera se stesso; Paola Cortellesi è bravissima nel ruolo di casalinga paranoica; Luca Argentero (vedi al riguardo l’articolo pubblicato su LucidaMente) è Michele, la cui personalità è soffocata da quella della moglie; Angela Finocchiaro conferma le proprie grandi abilità comico-satiriche (vedi – sempre sulla nostra rivista - Che problema essere genitori!). E ancora, fra gli altri, il duo Ale e Franz, nelle persone di Francesco Villa e – soprattutto – Alessandro Besentini. Piuttosto promettenti Lavinia De Cocci e il bolognese Saul Nanni, che impersonano i figli della coppia Cortellesi-Argentero.Campiotti porta sullo schermo D’Avenia
Cristina (Cortellesi) è una casalinga che, trasferitasi in Alto-Adige dal Sud, si è costruita una famiglia all’apparenza perfetta: integrata con la gente del posto; una dose di ottimismo da impartire a tutti in ogni occasione; una forma fisica invidiabile, ornata da tailleur e accessori di marca; un magnifico cottage ecocompatibile nel quale vivere; un marito (Argentero) bello e in carriera; due figli ben vestiti, che frequentano la scuola privata. Ma è anche una donna che ha rinnegato origini e perfino nome di battesimo; dotata di un arrivismo che la spinge – talvolta a discapito del proprio ruolo di madre – ad amicizie poco sincere, quelle che contano nella società, o meglio, nella sua piccola realtà.
L’esistenza perfetta della donna viene interrotta improvvisamente il giorno in cui le viene comunicata una realtà per lei sconvolgente: il fratello, Ciro Cimmaruta (Papaleo), ha indicato la sua dimora alto-atesina quale domicilio ove trascorrere gli arresti domiciliari, in attesa di giudizio. I due non si vedono né si sentono da quindici anni; per di più, Cristina ha sempre fatto credere ai propri familiari che il fratello fosse morto. La tranquilla routine familiare viene così interrotta dalla presenza di un uomo per nulla abituato alle buone maniere; le stesse che Cristina colloca invece in primo piano. Ciro è una persona burbera, che da sempre ha fatto della spontaneità il proprio modus vivendi. Ma è anche un uomo dal cuore grande che, nonostante le accuse per reati di mafia, ha grande considerazione degli affetti familiari; esattamente quelli che gli sono sempre mancati.
Cristina tenta ripetutamente e in ogni modo di rinnegare l’uomo come proprio fratello. Ma ben presto nel paese si diffonde la notizia che Ciro è accusato di essere un boss mafioso. Accadono così alla famiglia eventi straordinari e, prima di allora, inimmaginabili: Cristina viene improvvisamente invitata a rilevanti eventi mondani dalla moglie del titolare dell’azienda in cui lavora Michele (rispettivamente Finocchiaro e Besentini); la scorbutica vicina di casa dà il buongiorno alla famiglia Coso ogni mattina; finalmente si materializza l’agognata promozione di Michele, da sempre mediocre pubblicitario.
Sono giorni duri quelli durante i quali la stampa riporta l’assoluzione di Ciro dai reati di mafia. L’avvenimento dovrebbe essere motivo di festeggiamento per la famiglia e non – come invece succede – di declino della sua popolarità. Vari ne sono i segnali: l’annullamento – peraltro non comunicato ai destinatari – di un invito di Cristina e Michele a un prestigioso evento teatrale; la punizione inferta al figlio della coppia da parte della preside della scuola, per un evento superato ma ancora impunito; il declassamento professionale di Michele e il suo trasferimento in un improbabile e pericolante ufficio ricavato nei sotterranei dell’azienda. Ciro Cimmaruta non è un boss mafioso; non può quindi né potrà assicurare liquidità o altre coperture a chi ha avuto modo di conoscerlo, pur sotto svariate vesti.
Il sogno sembra dunque essere finito per la famiglia Coso. Tutto torna come prima dell’arrivo di zio Ciro; riappare anche lo spettro dei debiti – taciuti alla moglie per debolezza di carattere – contratti da Michele con uno strozzino. Ma ora Cristina non è più alla ricerca della maniacale perfezione. La sua famiglia ha adesso la consapevolezza che le frequentazioni con secondi fini non hanno vita lunga. Per di più, ha appena scoperto di possedere la ricchezza più grande di tutte: il ritorno agli affetti familiari. Citiamo al riguardo la risposta di Ciro, allorché la sorella gli chiede come mai si sia avvicinato a un clan mafioso: «Per appartenere a qualcuno».
L’immagine: la locandina e due fotogrammi del film Un boss in salotto.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno IX, n. 97, gennaio 2014)
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