In un’intervista in esclusiva, l’ottantenne protagonista dell’attraversamento dell’Italia in 45 giorni ci svela timori ed emozioni, offrendoci un grande insegnamento di vita
Non è mai troppo tardi per compiere un’avventura in cui si crede fermamente: questo il messaggio lanciato dal parmense (ma bolognese d’adozione) Alessandro Bellière con la sua vera e propria sfida alla vita. Partito da Predoi (Bolzano) il 10 settembre scorso, in soli 45 giorni ha letteralmente percorso in lungo l’Italia; giungendo a Ispica (Ragusa) il 24 ottobre, giorno del suo ottantesimo compleanno. In cifre: zaino in spalla, 1.759 chilometri totali percorsi – suddivisi in 43 tappe – per una media giornaliera di circa 40 km (http://www.alessandrobelliere.com/pronti-partenza-via.html). Ecco la nostra intervista in esclusiva a tale singolare personaggio.
Quando è maturata in lei l’idea di cimentarsi in questa avventura?«L’anno scorso, nel giorno del mio compleanno, mi sono chiesto come avrei potuto festeggiare i miei 80 anni. Quale appassionato di sport, mi sono seduto davanti al computer, alla ricerca di un itinerario ancora inesplorato da percorrere; a piedi, naturalmente! L’attraversamento dell’Italia da nord a sud mi è sembrato perfetto. Grazie alle carte geografiche, ho individuato il percorso esatto da seguire, trovando su internet i due comuni italiani agli antipodi: Predoi (Bolzano) e Ispica (Ragusa). Sinceramente, ero convinto che i chilometri da percorrere fossero meno…».
In cosa è consistita l’organizzazione preventiva del viaggio?«Alla vigilia della partenza, ciascuna tappa era stata definita – in sette mesi di lavoro a pieno regime – in termini di itinerario, vitto e alloggio. Prevedendo eventuali esigenze, avevo stilato un elenco dettagliato dei punti di ristoro e degli alberghi dove passare la notte strada facendo. Settemila euro la cifra complessiva stimata per l’intero viaggio. Tre parroci veneti – miei corregionali – da me contattati, primo fra tutti quello di Scorzé, mi avevano offerto ospitalità per la notte. Mi aveva perfino telefonato il presidente della stessa pro loco, offrendomi vitto e pernottamento a casa propria perché, testuali parole: “Lei merita più di una brandina del parroco!”. Così mi sono rivolto ad altri 39 parroci dislocati lungo il mio itinerario. Alla vigilia della mia partenza, metà dei pernottamenti totali previsti mi era stata offerta da loro. Arrivato realmente in loco, ho avuto una piacevolissima sorpresa: i preti – non disponendo dello spazio promessomi – avevano prenotato per me, a spese loro, vitto e pernottamento in albergo. Anche alcuni albergatori, alla notizia che avrei percorso a piedi l’Italia, mi hanno applicato uno sconto sulla tariffa. Inoltre, sono stato ospitato pure da sindaci e presidenti di pro loco. In 45 giorni, ho cenato soltanto 4 o 5 volte in solitudine e a mie spese».
C’è un episodio che ricorda con maggior simpatia?«A Noto (Siracusa), mia penultima tappa, dopo aver mangiato in un ristorante specializzato in pesce, ho chiesto il conto al cameriere. Ho saputo però che non c’era nulla da pagare. Mi sono guardato intorno: in tutta la sala, ho notato cinque coppie e quattro donne tedesche che mangiavano insieme. Avevano pagato loro il mio conto! Le ho ringraziate immediatamente, regalando loro un mio biglietto da visita con impressa la mia caricatura. E ancora: quando ho avuto, davanti agli occhi, il cartello di Ispica (tappa di arrivo, ndr), ho realizzato che l’impresa era riuscita con successo. In quel momento, mi si è affiancata un’automobile: l’autista, abbassando il finestrino, mi ha chiesto se per caso fossi io la persona che stava occupando le pagine della stampa locale».
Qual è stato invece il momento più difficile da superare?«Per giungere da Aci Trezza a Lentini avevo seguito una scorciatoia suggeritami. Per una ventina di chilometri ho percorso una strada stretta, senza incontrare una casa né un’anima viva. Intorno a me c’era soltanto una distesa di aranci. Avevo consumato tutta la mia riserva di acqua da bere ed ero sull’orlo della disperazione. Quando ho ricevuto la telefonata del comandante dei Carabinieri di Aci Castello – paracadutista come me –, gli ho spiegato la situazione. Essendo a 35 km di distanza da lui, gli ho chiesto il permesso di dissetarmi con gli aranci incontrati sulla strada. Dopo appena dieci minuti ho scorto un’automobile dirigersi velocemente verso di me; l’unica incontrata in quella via stretta e lunghissima. Giuntami di fianco, vi è sceso l’autista, che mi ha dato delle bottiglie di acqua da bere».
Percorrere l’Italia in lungo richiede uno sforzo fisico singolare. Come e per quanto tempo si era allenato?«Innanzi tutto, prima di partire, avevo fatto tutte le visite mediche del caso. Avevo anche comprato quattro paia di scarpe e apposite calze per le lunghe percorrenze; grazie a loro non mi è venuta una sola vescica ai piedi. Pur non avendo ancora programmato l’itinerario preciso, da ottobre dell’anno scorso ho iniziato a camminare sistematicamente. Avevo scelto una strada di Molinella, sicura – ciclabile – e illuminata, camminando, nei mesi caldi, dalle 4 alle 9 del mattino. Nei periodi freddi ritardavo un po’ la partenza, ma le ore di allenamento non diminuivano. Non mi sono mai concesso nemmeno un giorno di “vacanza”. Così, alla vigilia della mia partenza, in nove mesi avevo collezionato 6.250 km di camminata; corrispondenti a circa 25 km al giorno. Sono perfino diventato amico di un carabiniere che faceva la ronda notturna; anzi, devo proprio dire che è diventato il mio fan numero uno!».
È stato spinto maggiormente dalla passione per lo sport oppure dal desiderio di dimostrare a se stesso e alle altre persone che non è mai troppo tardi per nulla?«Direi la seconda opzione. E sono perfino riuscito a trasmettere questa mia convinzione a un perfetto sconosciuto. Giunto in Veneto, ho dormito per la prima volta in una casa-famiglia gestita da un parroco locale. Mi ero sistemato in una camerata da 10-12 letti, insieme a persone sbandate, nonostante la loro età avanzata. Una di loro, un uomo probabilmente ubriaco, mi ha confidato la propria intenzione di farla finita. Senza pensarci due volte, l’ho preso da parte, chiacchierando con lui per un paio di ore. Dopo avermi ascoltato tutto quel tempo, mi ha ringraziato, promettendomi che, dal giorno successivo, avrebbe cercato di dare un senso alla propria vita. Una grande soddisfazione, per me! Tuttavia, alla decisione di affrontare una simile avventura ha contribuito anche la mia passione per lo sport: infatti, dal 1956 al 1960 ho fatto parte della Nazionale militare alpini paracadutisti».
La sua impresa ha avuto una grandissima eco mediatica. Ne hanno parlato perfino il Resto del Carlino, la Repubblica, Ansa e La vita in diretta. Se lo sarebbe mai immaginato?«Per la precisione, hanno parlato di me 85 giornali in tutto, di cui ben cinque quotidiani esteri. Non mi sarei mai aspettato nulla di simile! Nemmeno che a Fuscaldo – in Calabria – mi attendessero il sindaco, gli assessori e svariati giornalisti. Quando sono partito, non avevo nemmeno la certezza che avrei concluso con successo l’avventura: in passato, avevo infatti percorso “soltanto” 522 km, ovvero la strada che collega Bologna a Roma. Ho pensato: “Io parto, mal che vada tornerò indietro!”».
È stato difficile rinunciare alla sua quotidianità e ha mai avuto momenti di ripensamento o desiderio di tornare indietro?«In otto chili di zaino c’erano tutte le apparecchiature elettroniche necessarie, i telefonini, il cambio per i 45 giorni e una bottiglia di acqua da bere (le successive le compravo via via). Non è stato difficile rinunciare alla quotidianità. Piuttosto, è stato terribile sopportare la solitudine, soprattutto nelle ultime 15 tappe. Per fortuna esistono i cellulari e gli auricolari! Non ho mai pensato di mollare, nemmeno lontanamente; piuttosto, ho sperato che, durante la mia assenza, non succedesse qualcosa di talmente grave alla mia famiglia da dover abbandonare l’avventura. A Borgorose (Rieti), sono incappato in un acquazzone che non auguro a nessuno: una cascata d’acqua durata mezz’ora e nessun tetto sotto cui ripararmi. Mi sono raffreddato molto e mi è venuta la tosse. Il medico – nella prima farmacia che ho incontrato – mi ha invitato a fermarmi per una settimana. Ci mancava soltanto questo! Mi sono fatto dare la pastiglia che mi occorreva e sono ripartito il giorno dopo. Con il mio carattere combattivo, solitamente riesco a fare tutto quello che mi metto in testa!».
Le persone intorno a lei come hanno reagito alla notizia della sua partenza e le piacerebbe stupirle nuovamente?«I miei figli sono state le uniche persone che hanno creduto davvero nella mia forza. Probabilmente si aspettavano da me qualche idea fuori dal comune, ma certamente non di una simile portata. Da parte altrui, non è invece mancata la diffidenza nei miei confronti: alcuni miei conoscenti mi hanno chiesto se fossi matto, rendendosi disponibili a soccorrermi in caso di bisogno. Un uomo sulla sessantina, incontrato incamminandomi verso la Campania, credendo che andassi a piedi per mancanza di soldi, mi ha offerto 10 euro per pagarmi un taxi. Inoltre, svariate persone hanno dubitato di me, convinti che in realtà avessi percorso la strada in moto o in automobile. Invece il mio cammino era costantemente controllato dai miei figli, tramite il Gps. Riguardo al futuro, l’anno prossimo compirò ottantuno anni e troverò sicuramente il modo per festeggiarli degnamente. Per il momento non posso aggiungere altro, ma sto già pensando a qualcosa. Di qualsiasi avventura si tratti, di sicuro supererà quella che ho appena portato a termine».
Le immagini: Alessandro Bellière in cammino, la sua caricatura e l’accoglienza del sindaco di Predoi.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno IX, n. 97, gennaio 2014)
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