Il tema della crescente aggressività giovanile e non, affrontato con la psicologa Cristina Pavia. Le responsabilità della famiglia, dei media, dei “reality”
Le cronache di questi giorni riportano allarmanti episodi di violenza giovanile, pericolosamente reiterati dall’oggi al domani. Trattandosi di un fenomeno in aumento, mai come ora appare necessario chiedersi da cosa venga alimentato; ma, soprattutto, quali siano le cause che portano l’essere umano a commettere – spesso inconsapevolmente – reati anche gravi. Abbiamo analizzato il tema con la psicologa Cristina Pavia (www.cristinapavia.net), a quotidiano contatto con i preadolescenti delle scuole secondarie di primo grado di Bologna, visto che vi svolge attività di counseling.
Stiamo assistendo a un fenomeno di “follia collettiva” oppure, più semplicemente, la generazione odierna non è più capace di tollerare la frustrazione?«I principali responsabili dell’attuale escalation di violenza sono i modelli di vita – profondamente modificatisi nel tempo – offerti oggi ai giovani. È fisiologico che i ragazzi replichino, nella loro quotidianità, ciò che percepiscono dalla realtà che li circonda, così come dai mass media e dalla rete. È quindi fondamentale rivedere i contenuti educativi proposti sia dal mondo reale – genitori, insegnanti ed educatori – che da quello virtuale. Non parlerei tanto di “follia collettiva”, quanto piuttosto di incapacità dei giovani di tollerare la frustrazione. Spesso i ragazzi non sono più in grado di sopportare insuccessi e disillusioni: i genitori fanno di tutto per evitarglieli».
Come si è evoluto, nel tempo, il ruolo educativo e quanto incide sulle giovani generazioni?«I genitori sono diventati via via più protettivi nei confronti dei minori: mi riferisco a chi previene i bisogni dei figli; a chi fornisce loro in anticipo gli strumenti – peraltro spesso superflui – per soddisfare ogni loro presunta necessità. Se vai male a scuola, ti sposto in un istituto privato; se sei stato rimandato a settembre soltanto in due materie, niente Ipad, ti dovrai accontentare di un nuovo cellulare. I ragazzi non vengono lasciati liberi di utilizzare le proprie forze per imparare dai loro piccoli errori: in questo modo non sperimenteranno mai l’insuccesso, né acquisiranno la maturità che l’età adulta richiede loro».
Cosa dovrebbero fare i genitori per lasciare ai figli la libertà necessaria senza essere invadenti né assenti nella loro esistenza?«Innanzitutto essere disponibili ad ascoltarli con attenzione: soltanto così possono captare – e quindi anche prevenire – eventuali fenomeni di disagio giovanile. Sottolineo ancora che le soluzioni preconfezionate offerte ai figli senza che loro le chiedano sono sempre dannose. Indubbiamente i ritmi quotidiani nel tempo si sono nevrotizzati: i genitori, soprattutto le donne, dedicano oggi all’educazione dei figli mediamente meno tempo rispetto alle generazioni passate. Spesso, per motivi di lavoro, tornano a casa soltanto nel fine settimana: viene così a mancare, per i ragazzi, un riferimento educativo fondamentale. I genitori dovrebbero inoltre porsi verso i figli come esempi positivi da emulare; per esempio, non reagendo con aggressività nelle situazioni di conflitto».
In un “clic” le notizie pubblicate sui social network fanno il giro del mondo virtuale: quanta responsabilità ha la rete rispetto ai violenti fatti di cronaca odierni?«La rete e i mass media hanno sui giovani un effetto di rischiosa emulazione e sono fonte di invidia e frustrazione. Gli utenti tendono a dare di loro l’immagine migliore – spesso non veritiera –, pubblicando foto o frasi che suscitano rivalità nei coetanei. Si crea così una sorta di pericolosa spirale competitiva, che spesso passa dal web alla vita reale, con le relative conseguenze. Oramai fra i giovani è diffusa la consapevolezza di “esistere” soltanto se qualcuno parla di loro; a prescindere da cosa venga detto. I principali responsabili sono i reality, nei quali viene esaltato il ruolo dell’essere protagonisti, anche a discapito del sacrosanto diritto alla privacy. Il bisogno – effimero – di apparire, sempre e comunque: questo stanno imparando i nostri ragazzi, attraverso i modelli che la società propone loro».
Quali soluzioni potrebbero essere adottate per ridurre sensibilmente il perpetuarsi di questa violenza?«L’aggressività fa parte dell’essere umano. Pertanto, la soluzione da ricercare è sempre la stessa: i genitori e gli educatori in generale non dovrebbero far sentire soli i propri ragazzi. Sarebbe anzi necessario che li invitassero – non facendoli sentire giudicati – a esprimere i propri disagi senza vergognarsi. Dovrebbero inoltre porre la massima attenzione all’approccio verbale verso i figli: quale riferimento educativo hanno i ragazzi se i modelli da emulare si rivolgono loro con minacce verbali e affermazioni gratuitamente provocatorie? Più di tutto spaventa l’atteggiamento di apatia dei ragazzi verso tutto questo: una volta divenuti adulti, per loro sarà normale replicare l’atteggiamento nei confronti dei loro figli. Infine, resta sempre fondamentale conoscere il gruppo di amici frequentato dai ragazzi».
Questa considerazione vale anche riguardo ai casi di suicidio di questi ultimi tempi, causati dalla crisi economica?«In questi casi il discorso cambia: in periodi di difficoltà economica, la gente è più nervosa e fragile psicologicamente. Si tende più a mettere in atto fenomeni di autolesionismo che non di violenza verso gli altri. Ma, anche in questo caso, non bisognerebbe mai perdere di vista un aspetto fondamentale: ogni gesto compiuto – più o meno estremo – funge da esempio per i figli e non soltanto».
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L’immagine: la psicologa Cristina Pavia.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno VIII, n. 90, giugno 2013)
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