Il libro molto originale racconta itinerari alternativi, e low cost.

Emanuela Susmel

Il termine viaggio non è sempre sinonimo di velocità, confort e riposo. A volte può significare molto di più: risparmio economico, per esempio, oppure il saper attendere – senza fretta – il momento giusto per scoprire meraviglie trovate per puro caso. Ne sanno qualcosa Paolo Merlini e Maurizio Silvestri che insieme hanno esplorato niente di meno che la loro regione, le Marche. Il loro itinerario non ha riguardato le solite mete turistiche: supportati dal loro spirito di avventura, insieme hanno visitato luoghi quasi dimenticati nel tempo, scoprendo la vera anima del posto.

 

Appunti di viaggio

Dai loro appunti di viaggio è nato un libro, Un altro viaggio nelle Marche (Exòrma edizioni, 160 pagine, 13,50 euro), da poco in libreria.
Il testo è arricchito dal servizio fotografico a cura di Mario Dondero, leggenda vivente della fotografia europea, come ha tenuto a precisare Silvestri. Dondero, oggi ottantaquattrenne, da 20 anni vive a Fermo: si è appassionato al viaggio descritto nel libro e ha donato agli autori un buon numero di propri scatti fotografici, alcuni dei quali inediti.
Il Salvagente ha intervistato Maurizio Silvestri, uno degli autori del testo.

Il libro, scritto da lei e da Paolo Merlini, è il diario di un viaggio di 8 giorni compiuto all’avventura, a bordo di vecchie littorine e di bus che collegano luoghi marchigiani impervi e quasi dimenticati dal mondo moderno. Leggendo alcuni brani si ha l’impressione di un piacevole ritorno al passato, Com’è nata l’idea?
Avevamo il desiderio di raccontare in modo diverso la nostra regione, le Marche. Approfittando della sintonia che ci lega da quando eravamo compagni di scuola, abbiamo accettato una grande scommessa: saremmo riusciti a descrivere il territorio in maniera non convenzionale, mettendo in risalto aspetti non descritti nelle guide turistiche? Ci siamo divertiti moltissimo sentendoci due viandanti giunti da chissà quale parte del mondo; due forestieri in esplorazione di terre indigene. È stata proprio questa la vera essenza, l’originalità del nostro viaggio.

Da che cosa è stata dettata la scelta della regione marchigiana come luogo da esplorare?
Paolo e io siamo nati e viviamo nelle Marche: avendo intenzione di ripetere l’avventura in altre zone – la nostra prossima tappa riguarderà l’Abruzzo – avevamo il dovere morale di dedicare il primo viaggio ai nostri luoghi. Così, quando ancora non sapevamo che poi ne avremmo realizzato un libro, siamo partiti alla ricerca delle Marche. La nostra sfida era quella di trovare caratteristiche che accomunassero un popolo così eterogeneo – e non soltanto nel dialetto – come quello marchigiano. Abbiamo fatto scelte mirate che ci permettessero di scoprire la vera anima della regione: partire fuori stagione, nell’ultima settimana di ottobre; evitare i capoluoghi di provincia – a eccezione di Ancona – e parlare con gli abitanti di paesi piccolissimi e non frequentati da turisti. Abbiamo così scoperto, con nostra grande sorpresa, il calore umano di cui sono capaci i marchigiani; semplicemente, nel bel mezzo di una partita di tresette, nel bar centrale che nei paesi non manca mai. Quello che ci è stato regalato è un patrimonio che non si trova sui libri.

Più che un testo descrittivo dei luoghi, il libro rappresenta una guida per chi, alle mete notoriamente mondane, privilegia l’anima autentica dei paesini marchigiani. Quali sono stati i luoghi, i piatti e i profumi che l’hanno colpita di più e perché?
San Martino di Acquasanta Terme è abitato da ben 5 residenti ufficiali risultanti da censimento: il posto non è facile da raggiungere ma ne vale veramente la pena. Si trova a sud della regione, a pochi passi dal fiume che divide Marche da Abruzzo: è un luogo di sosta, un ex passaggio doganale. Una particolarissima casa di arenaria ospita – da ben 100 anni – l’osteria gestita da Emma (ora si chiama Mini Ranch, nel libro chiamata Taverna Orsini): le tagliatelle fatte a mano con i funghi raccolti – in ogni periodo dell’anno – nel sottobosco marchigiano sono qualcosa di indimenticabile. Ci ha colpito anche la qualità umana delle persone.
Elcito è un luogo di pietra e vento, situato tra Matelica e San Severino. La corriera non arriva fin là così, per raggiungerlo, abbiamo dovuto fare l’autostop. È un borgo disabitato che ricorda il Messico e non soltanto per il nome. È tenuto in vita dai discendenti, nati lì ma trasferiti a San Severino: da un paio di anni si stanno impegnando, a turno, a tenere aperte le case anche in inverno, almeno una per settimana. Durante la nostra permanenza, per puro caso abbiamo preso parte a una festa del paese; il forno a legna era stato riaperto da pochissimo. Nella parte alta, inoltre, c’è una vallata dalla vista mozzafiato.
Cagli si trova nel Montefeltro, al confine con l’Umbria. Dà l’idea di trovarsi in un’altra regione; anche il dialetto sembra quello umbro. È una cittadina abbastanza grande dal passato nobile e aristocratico: ci è bastato fare una semplice telefonata perché ci venisse permesso di visitare il teatro.

Quali mezzi di trasporto avete utilizzato nell’itinerario? In termini economici, si è trattato di un viaggio all’insegna del risparmio?
Abbiamo viaggiato sempre a bordo di mezzi pubblici. Abbiamo preso le ultime due littorine a gasolio rimaste in circolazione, una nel tratto da Porto d’Ascoli ad Ascoli Piceno e l’altra da Macerata fino a Matelica. Abbiamo preso svariate corriere extraurbane che collegano i paesi della rete interna. Adesso posso dire che viaggiare nelle Marche in corriera permette di scoprire posti incantevoli e non altrimenti percorribili.
In altre parole, non abbiamo mai utilizzato l’automobile: e non avremmo potuto fare diversamente, dal momento che il nostro libro è il primo di una collana dedicata ai “viaggi senza auto”.
Abbiamo dettagliato tutte le spese sostenute: la tariffa del biglietto per le singole tratte è dell’ordine di pochi euro, ovvero una quota minima se rapportata ai chilometri percorsi. Il vero costo di un viaggio on the road è rappresentato dal tempo che vi si impiega: minuti, talvolta intere ore spese in attesa di coincidenze di treni o corriere. Ma nulla è mai stato vano: abbiamo riempito tutti i tempi morti con proficue chiacchierate con la gente del posto oppure con visite a biblioteche, pievi, mura dei paesi di passaggio.

Quali sono le mete marchigiane visitate che lei consiglierebbe e perché?
Oltre ai luoghi già citati, segnalo Cartoceto, non lontano da Fano, e Cupramontana.
La particolarità del primo paese è legata alla sua originale conformazione topografia: manca infatti la tipica piazza che siamo abituati a vedere altrove. Cartoceto è inoltre rinomato per l’olivo: il frantoio al centro del paese è ancora attivo e produce un olio molto buono.
Cupramontana è considerata la culla del Verdicchio; una vera e propria rivelazione per gli amanti della enogastronomia. Da 75 anni, la prima domenica di ottobre si tiene la Sagra dell’uva. Essendo costituito da un castello con tanto di mura e piazzetta, è inoltre la meta ideale per chi ama l’architettura.

Pensa che l’itinerario descritto nel libro sia percorribile da tutte le tipologie di turisti, comprese le famiglie?
È un percorso alla portata di tutti e, come si dice, per tutte le tasche. L’unico requisito che un viaggio simile richiede è quello di non avere fretta di arrivare a destinazione: occorre infatti entrare nello spirito di un tragitto lento, fatto di attese per le coincidenze dei mezzi pubblici; di tempo indeterminabile da dedicare alla conoscenza della gente locale, che poi costituisce il vero valore aggiunto del viaggio.
Paolo e io avremo avuto davvero successo se chi, leggendo il libro, avrà la voglia di prendere spunto dal nostro itinerario per organizzare un viaggio personale. In calce al testo abbiamo riportato una sorta di diario di bordo: si può trovare l’intero percorso seguito, giorno per giorno, la linea di bus presi e i siti delle compagnie utili per gli orari dei mezzi.

Ricorda un aneddoto particolare che ha caratterizzato la sua avventura?
Era un tardo pomeriggio e stavamo percorrendo il tragitto da Senigallia ad Arcevia. La corriera era gremita di gente, italiani in viaggio, come noi. Eravamo piuttosto stanchi, così ci siamo addormentati. Quando ci siamo risvegliati, a notte fonda, ci siamo ritrovati circondati da ragazzi, donne e uomini stranieri dalla pelle olivastra e dai tratti somatici orientali. I loro occhi puntavano verso di noi con sguardo interrogativo: con molta sorpresa abbiamo scoperto di essere, in quel momento, gli unici italiani sulla corriera. Solo successivamente abbiamo saputo che erano tutti pakistani.

Ultimo aggiornamento: 17/12/12

 

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