Racconto presentato al Concorso letterario del Quotidiano Nazionale “130 righe: un anno, una storia”
Quella primavera infuocata ai Parioli
Roma, 14 maggio 1993
È una serata mite, quella che Giulia e Marco stanno assaporando nella “città eterna”.
Quel primo giorno, in un weekend lontano dalla quotidianità, è scivolato via come gocce di pioggia sul vetro di una finestra.
È un venerdì destinato a entrare nella Storia italiana, non soltanto per chi ne è stato protagonista.
La fatica di un viaggio lungo quasi 400 chilometri è inspiegabilmente svanita; soffocata dalla grande e rinnovata emozione di rivedere luoghi che tutto il mondo invidia all’Italia: la Storia che trasuda dai capitelli dei Fori Imperiali e dal Colosseo; la maestosità di Castel Sant’Angelo; la commozione nel vedere la magnificenza della Cappella Sistina.
Ma anche la felicità di partecipare, l’indomani, al matrimonio di una coppia di amici romani, conosciuti anni prima in un viaggio a Parigi.
«Se il ricevimento non finisce tardi, potremmo visitare Cinecittà» propone Giulia.
«Quale miglior modo per onorare il grande Federico Fellini! Appena due mesi fa, ha ritirato il Premio Oscar alla carriera, a Los Angeles» conferma l’uomo.
«Noi visiteremo gli studi cinematografici e i nostri figli staranno guardando un film in un qualunque cinema».
«Dobbiamo abituarci all’idea che oramai prendano la loro strada. I fine settimana che passeremo tutti e quattro insieme saranno sempre meno. Partite di calcio, gare agonistiche, ritrovi con gli amici: tutti impegni imperdibili. E allora noi due torneremo a fare i fidanzati, come oggi!» rilancia Marco.
«Per fortuna i nonni si sono offerti di trascorrere con loro questi tre giorni».
«Un piatto caldo e un letto non si rifiutano mai. A 15 e a 17 anni, infatti, sono più che autonomi. Rassegnati…» rincara la dose l’uomo.
«Come si cambia, nella vita! Da piccoli, Luca e Davide non volevano mai passeggiare in centro» ricorda Giulia.
«Ora invece non possono perdersi il ritrovo del sabato pomeriggio in Piazza Maggiore. E girano per strada canticchiando Sei un mito degli 883 ».
«Sono felice che abbiano finalmente imparato ad apprezzare la nostra bellissima città!» esclama la donna.
«Siamo a Roma soltanto da qualche ora e già ti manca la tua Bologna?».
Giulia arresta il suo cammino per un istante; tanto quanto le basta per ammirare ciò che le offre la propria vista.
«Se fossi nata a Roma, me ne mancherebbe ogni angolo, non importa se antico o moderno. Guarda un po’ dove siamo» dice indicando con la mano destra un luogo ben preciso.
Marco alza lo sguardo: il Teatro Parioli Peppino De Filippo si erge davanti a loro.
«Finalmente ne vedo almeno l’esterno!» prosegue la donna.
«Mi pare invece che tu conosca bene il suo palcoscenico: tutte le sere, o quasi, guardi alla tele il Maurizio Costanzo Show».
«E tu non sei da meno; soprattutto da quando quel giornalista sta portando avanti la maratona contro la mafia».
«È un uomo molto colto e coraggioso: due doti apprezzabilissime» sentenzia Marco.
«Sai cosa apprezzerei, in questo momento? Un buon ristorantino».
L’uomo guarda l’orologio, ben saldo sul polso: sono le 19,30.
«Lo stomaco non mente mai. Cerchiamo un posto tipico qui vicino, possibilmente non troppo caro, visto che questa è una zona esclusiva. Solito budget intorno alle 50 mila lire in due?».
«Venduto!» esclama Giulia con un sorriso smagliante.
L’aria tiepida della sera accarezza i capelli di Giulia. Erano anni, oramai, che la donna non si sentiva così coccolata dalla natura e dal marito.
Mentre sta uscendo dal ristorante che le ha appena fatto scoprire i “carciofi alla giudea”, ripensa alla Fontana di Trevi e a Fellini e si sente improvvisamente Anita Ekberg ne La Dolce Vita.
Prende per mano il suo compagno di vita: in quel momento lo vede come Marcello Mastroianni, più sensuale che mai.
Sono due individui fra tanti altri; ma si stanno sentendo unici al mondo, in una città unica al mondo.
Il brulicare della gente per strada accompagna il loro cammino verso la metropolitana che li riporterà in albergo, in via Cavour.
Desiderano camminare ancora per il quartiere Parioli, almeno fino a quando le gambe lo permettono loro.
L’autoradio di una vettura parcheggiata in doppia fila trasmette La solitudine di Laura Pausini.
«Marco se n’è andato e non ritorna più…» canta sottovoce la donna.
«A saperlo, avrei potuto scegliermi Laura, invece di Giulia!».
«Non avreste avuto un gran futuro insieme…» controbatte la donna, strizzando l’occhio.
«È proprio brava, la Pausini! E poi è giovanissima: sta frequentando l’ultimo anno di scuola superiore» afferma l’uomo.
«Non so proprio, studiando, come abbia potuto prepararsi per partecipare al Festival di Sanremo» continua Giulia.
«Meno male che ha trovato il tempo! Come avrebbe, altrimenti, vinto la categoria Nuove Proposte? L’abbiamo sentita cantare per la prima volta appena qualche mese fa e ora la sua canzone è trasmessa da tutte le radio» continua Marco.
«Quella ragazzina si merita tutto il successo e farà sicuramente strada!».
Mano nella mano, Giulia e Marco voltano l’angolo tra Via Borsi e Via Fauro. L’aria che respirano a Roma in quella serata è fresca e piacevole.
Marco cammina in silenzio. Si ferma un momento per guardare l’orologio: sono le 21,30.
In quel momento non potrebbe desiderare di più. Dopo ripetuti episodi in cui la propria autorità di padre è stata messa in dubbio dall’adolescenza dei figli, si considera ora un marito felice e appagato.
«Non è possibile dividere la vita di noi due, ti prego aspettami amore mio, ma illuderti non so…».
Sentire Giulia cantare gli regala ricordi spensierati di momenti passati, sgombri da ogni preoccupazione, in cui le loro voci si alternavano, seguendo le note musicali di brani suonati alla radio; simili al cinguettio di due passerotti che si rincorrono l’un l’altro con affettuosa letizia.
Marco sta ancora sorridendo tra sé e sé nel momento in cui avverte, con la violenza di un fulmine caduto sulla propria testa, una deflagrazione; tanto potente quanto inaspettata.
D’un tratto arresta il suo cammino, si porta le braccia sulla testa, rannicchiandosi dietro l’automobile parcheggiata davanti a sé.
Con una mano trascina la moglie alla sua altezza, la avvicina a sé e la stringe più che può, come per proteggerla da un male oscuro e improvviso; ma soprattutto invisibile.
Giulia si lascia condurre senza opporre alcuna resistenza.
All’udire quel frastuono, la donna aveva avuto la sensazione che qualcuno le avesse squarciato il petto in due parti. Ma subito dopo, con grande sorpresa, si era accorta di essere ancora viva.
Ora, dentro di lei, vi è una convinzione; limpida come una sorgente di acqua pura: passeranno pure gli anni, ma mai niente e nessuno riuscirà a placare il senso di angoscia che sta provando.
Quel maledetto boato non è ancora cessato, dentro di lei: le urla dei passanti non sono riuscite a coprirne il rimbombo.
Alza la testa verso l’alto e scorge lo sguardo carico di angoscia di chi, affacciatosi alla finestra nonostante il buio, richiude frettolosamente le persiane; scomparendo come marionette che escono definitivamente dalla scena di uno spettacolo per bambini.
Giulia non ha ancora trovato la forza di muovere il più debole dei propri muscoli delle gambe: il frastuono appena udito sta continuando a rimbalzarle fra mente e corpo, in un rimbombo apparentemente senza fine.
In lontananza, i propri occhi vedono soltanto polvere e fumo, avvolti in una nuvola che si contorce su se stessa come se avesse vita propria. Nube che, teme invece, non può che contenere la morte.
Resta china sulle ginocchia doloranti, con il viso appoggiato sulla spalla di Marco e gli occhi sbarrati, che stanno inquadrando tante immagini riunite in un solo colore: il nero.
Fissa Marco negli occhi e lascia che le loro pupille tremolanti si comunichino più di quanto ne sarebbero capaci le labbra.
«I ragazzi,, i miei genitori… dobbiamo avvertirli che stiamo bene, prima che accendano la tele. Qualsiasi cosa stia succedendo, è qualcosa di grave» si preoccupa la donna.
«Ora io e te, zitti zitti, scappiamo da questo inferno e torniamo in albergo. Da là, telefoneremo a casa per tranquillizzare tutti».
«Ammiro la tua freddezza in certi momenti».
«Non abbiamo molte alternative, in questo momento. Dobbiamo mantenere più lucidità possibile».
«Temo proprio che qualcuno, al di là di questa strada, abbia perso ben più della lucidità».
«Tirati su, Giulia. Andiamo via, o adesso o mai più».
I due coniugi si alzano nuovamente in piedi, con le ginocchia doloranti. Balzano fuori da quella bolgia, con l’agilità di farfalle che saltano da un fiore all’altro, inebriate di profumo.
In quel momento stanno invece sentendo un odore unico, inconfondibile: quello della polvere da sparo.
Prima di girare l’angolo e lasciarsi definitivamente alle spalle quell’inferno, Giulia getta un rapido sguardo alla lastra di marmo bianco su cui è scritto il nome di quella strada: Via Ruggero Fauro.
I due coniugi si sentono ora al sicuro, come profughi scampati a una guerra improvvisa e inspiegabile.
Seduti nella hall dell’albergo che li ospita, stanno ascoltando attentamente il giornalista che presenta l’edizione speciale del telegiornale:
«Attentato nel Quartiere Parioli della Capitale, verso le 21,35 di oggi. Un’autobomba, presumibilmente una Fiat Uno parcheggiata in Via Fauro, è esplosa subito dopo il passaggio della vettura che stava accompagnando a casa il giornalista Maurizio Costanzo e la compagna, Maria De Filippi, al termine della registrazione del Maurizio Costanzo Show; nel vicinissimo Teatro Parioli. Al momento risultano alcuni feriti, ma nessuna vittima. Danneggiate una sessantina di automobili, parcheggiate in via Fauro. I palazzi in prossimità dell’esplosione sono stati gravemente danneggiati, mentre il muro della scuola di fronte è crollato. È ancora prematuro stabilire se l’azione dinamitarda di questa sera sia un seguito degli attentati avvenuti lo scorso anno nel nostro Paese, in cui persero la vita, fra gli altri, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino».
Ancora increduli, Giulia e Marco hanno ora una sola certezza: non dimenticheranno mai più quella primavera infuocata ai Parioli.